Nike «dalle belle caviglie» («Νίχην καλλίσφυρον»), come l’aveva chiamata Esiodo nella Teogonia (verso 384), è colei che dà la vittoria. Dea – e idea stessa – della vittoria, è lei a elargire il dono più gradito all’anima dei mortali: se stessa. All’inizio dell’epinicio (canto corale che celebra i vincitori degli agoni) per Alexidamos di Metaponto, il poeta greco Bacchilide (11 Snell) invoca Nike, definendola «γλυκύδωρε» («dispensiera di dolcezze»), e chiarisce: «… ἐν πολυχρύσῳ δ᾿ ᾿Ολύμπῳ Ζηνὶ παρισταμένα κρίνεις τέλος ἀϑανάτοισί τε καὶ ϑνατοῖς ἀρετᾶς…» («… nell’Olimpo dorato, ritta accanto a Zeus, stabilisci il premio per il valore degli dei e degli uomini….»). Anche questa sezione del sito invoca la Vittoria (con la maiuscola) e batte i sentieri che conducono a Lei.
LA NECESSITÀ DI UN PERCORSO
Mettersi sulle tracce del dono che ci si costruisce e regala da soli, con il sacrificio quotidiano, è stato indispensabile soprattutto nel triste periodo segnato dal Covid. Durante la pandemia ho inaugurato Vincere – Inchieste di Sport: il programma, trasmesso da Rete 55 e ora disponibile anche qui, ha scandagliato i percorsi necessari per inseguire la vittoria, non solo successo sportivo ma considerata pure come rigenerazione, riscatto e addirittura risurrezione. L’eterogeneo ventaglio di puntate ha offerto storie di rinascita, raccontate da Alessandro Carvani Minetti, Erik Fumi e Andrea Nonis o da Federica Sileoni, Federico Lunghi e Matteo Francucci, tre ragazzi d’oro del para-dressage che a cavallo vivono emozioni uniche, trasmettendole a chi li guarda. Questi incontri, densi di pathos, si sono alternati ad altri faccia a faccia dedicati a super campioni: dal cestista Dino Meneghin (vedi anche qui e qui) al ciclista Beppe Saronni (vedi anche qui), senza dimenticare il calciatore Ciccio Baiano (vedi anche qui). Ho incontrato giovani promesse che puntavano alle Olimpiadi, come il ginnasta Ares Federici o il mezzofondista e siepista Pietro Arese, e atleti che già c’erano stati, come Sara Bertolasi. In un programma imperniato sui fondamenti (e sulle fondamenta) della vittoria non poteva mancare la voce degli allenatori: quella di chi ha fatto scuola, come Eugenio Fascetti (vedi anche qui) e Pietro Carmignani, nel pallone, quella di Marco Pedoja, che ha accompagnato il nuotatore Nicolò Martinenghi alle Olimpiadi e Federico Morlacchi ai Giochi Paralimpici, e quella anticonformista di Joe Isaac, che, negli anni Cinquanta del secolo scorso, ha deciso di lasciare il baseball per sposare il basket.
NASCE RIVINCERE
Ora, l’indagine su come si vince non si limita più al campo sportivo ma spalanca le ali allo stesso modo della Nike di Samotracia (200-180 a.C.): il più grande capolavoro della statuaria ellenistica a noi pervenuto, attribuito a Pitocrito (Πυϑόκριτος) e conservato al museo del Louvre, diventa l’icona di Rivincere. Questo verbo, che non vuol dire soltanto «vincere di nuovo» ma soprattutto «riconquistare, recuperare, riguadagnare quanto si è perduto», identifica un nuovo progetto editoriale rivolto a più ambiti e diretto sulla via della vittoria, sia essa alloro sudato e meritato o rinascita e ripartenza dopo qualunque tipo di sconfitta.
L’AMORE PER I VINTI
È proprio dalla sconfitta che aveva preso vita Vincere, nato, come detto prima, durante la pandemia, con un nome che, soprattutto in quel momento, era indispensabile, pur potendo comunque sembrare eccessivo e tronfio: quel verbo all’infinito, infatti, era stato sciorinato in piazza tragicomicamente per annunciare agli italiani l’inizio di una immane sventura (la seconda guerra mondiale). Vincere, però, ha avuto il significato opposto: non imperativo categorico, non parola d’ordine irrevocabile per accendere i cuori, suscitando la competitività, e nemmeno mantra per aizzare gli animi di chi è interessato solo al successo, al profitto e al guadagno a ogni costo. Al contrario, questo Vincere affondava le proprie radici nel terreno della sconfitta ed era animato dall’amore per i vinti, secondo quell’impulso che ci fa identificare con Ettore, Enea profugo, Don Chisciotte… La Vittoria, quella Vittoria con la maiuscola che abbiamo evocato all’inizio, può anche rivelarsi irraggiungibile ma mettersi sulla via che conduce a lei è già un modo per afferrarla.
LA PARTE SEMPRE VIVA DI OGNI MORTALE
Vincere diventa così Rivincere, incontra l’uomo, scava nella sua storia personale, indaga i tumulti dell’animo, le inquietudini che accompagnano inevitabilmente la vita di ognuno di noi e dà conto di quella lotta interiore che ci tiene in bilico fra i piani della ragione, orientata al calcolo e alla ponderata salvaguardia del quieto vivere, e le esigenze dello spirito, proteso verso i rischi della sfida e assetato di rinnovamento. Rivincere sta nella capacità di far emergere le potenzialità interiori, dispiegandole fino all’autorealizzazione di sé. È una normalità che sa tingersi di eccezionalità, elevandosi a tal punto da diventare paradigma. È bisogno di superare le continue prove della quotidianità, facendo fronte alle sorprese della vita, ed è suscitato dalla crisi, nel senso etimologico: il latino «crisis» rimanda al greco «κρίσις» che vuol dire «scelta, decisione» ed è nome d’azione del verbo «κρίνω» («io giudico, distinguo»). Rivincere non è una novità, anzi, ha l’età dell’umanità e ha conosciuto rime ben più illustri, come quelle, ad esempio, che hanno raccontato di un valoroso cavaliere:
«Recreant vos apelent tuit, Cuidiez vos qu’il ne m’an enuit» Chrétien de Troyes – Erec et Enide, vv. 2567-2568
«Tutti vi chiamano rinunciatario («recreant»), Credete che non mi dispiaccia» dice la moglie Enide al marito Erec, innescando il suo riscatto. La quête di Erec, e quella dei “colleghi” Lancillotto, Ivano e Perceval, coincide, in fondo, con il cammino di quanti puntano a rivincere, non dimenticando che questo verbo ha un significato ben più profondo del semplice «vincere di nuovo». E può rivincere anche chi non ha vinto ancora.