«Nomina sunt consequentia rerum» si legge nella Vita Nova (XIII, 4) di Dante, ovvero «i nomi sono conseguenti alle cose (che designano)». È una citazione dal Corpus Iuris di Giustiniano (Institutiones Iuris Civilis, libro II, titolo 7, qui si trova «rebus» – «alle cose» – al posto di «rerum» – «delle cose») e questa espressione è ancora oggi viva, al di fuori del contesto originale, per esprimere, talvolta anche in tono ironico o scherzoso, la convinzione che i nomi rivelino l’essenza o alcune qualità della cosa o della persona denominata.
Calza bene a chi porta un nome adatto alle sue caratteristiche fisiche o intellettuali anche un verso del poemetto De Paulino et Polla, scritto da Riccardo da Venosa nella prima metà del tredicesimo secolo: «conveniunt rebus nomina saepe suis», «spesso i nomi sono appropriati alle cose che designano».
DA DOVE NASCE L’AMORE
Filippo (Fil-ippo) deriva dal greco ed è composto dalle parole φίλος (philos, «amico», «amante») e ἵππος (hippos, «cavallo»). Nasce da qui l’amore viscerale nei confronti dell’animale appiccicato indelebilmente al nome che mi rappresenta e che è molto di più di un’etichetta di vita (per la vita).
È scaturita così la mia Fil-ippica, dove ippica è «hippikḗ tékhnē», l’«arte relativa al cavallo», e comprende tutto ciò che si riferisce a questo animale meraviglioso, archetipo di bellezza e atleta generoso, dal cuore infinito.
Un modello estetico universale, indicato tra i paradigmi del bello da Honoré de Balzac che, in «Le père Goriot», scrive: «On a bien raison de dire qu’il n’y a rien de plus beau que frégate à la voile, cheval au galop et femme qui danse» («Abbiamo ragione a dire che non c’è niente di più bello del veliero, del cavallo al galoppo e della donna che balla»).
CAVALLI, LIBRI E SENI
Impossibile dare torto allo scrittore francese, cui fa eco un illustre collega coevo. Gustave Flaubert, in una lettera all’amata Louise Colet, datata mercoledì 17 dicembre 1851, cita una massima araba che risale all’emiro Abd el-Kader, capo della resistenza algerina contro i francesi nel diciannovesimo secolo, cavaliere e scrittore: «Le Paradis en ce monde se trouve sur le dos des chevaux, dans le fouillement des livres ou entre les deux seins d’une femme!» («Il Paradiso in questo mondo, si trova sul dorso dei cavalli, dentro i libri o tra i seni di una donna!»).
Un motto ineccepibile su cui si fonda la mia Fil-ippica col trattino e rigorosamente al singolare, essendo tutt’altra cosa dalle Filippiche di Demostone contro Filippo II di Macedonia, da quelle di Cicerone contro Marco Antonio e dalle due orazioni con lo stesso nome che Alessandro Tassoni scrisse tra il 1614 e il 1615 contro la dominazione spagnola in Italia. Questa Fil-ippica non è invettiva ma, al contrario, rappresenta un atto d’amore (purosangue) che parte dall’«hippikḗ tékhnē» e arriva all’ippica come viene comunemente intesa e cioè in senso sportivo. Così la frequento e l’ho frequentata nelle mie trasmissioni che hanno coinvolto i massimi protagonisti del settore e che potete scorrere, o vedere per intero, pescandole dal menu a tendina di questa sezione: Mondo Galoppo, Equos Mondo Galoppo, Equos Mondo Trotto, senza dimenticare gli ultimi contributi, come Sogni Purosangue, più snelli ma non per questo meno densi di storie e vite, e i progetti ancora da costruire.
Magari nell’immediato della mia carriera giornalistica che, negli ultimi anni, ha reso sempre più faconda questa Fil-ippica sui generis.
Non poteva essere altrimenti se è vero che «nomen est omen».