Il poeta è uno che lavora

martedì 23 Ottobre 2018
2 minuti di lettura

La scelta del vocabolo ergasterio (in greco laboratorio, officina), per il nuovo corso della trasmissione Poetando ma anche per la mia storica «Officina d’Arte» che sorgeva a Brusimpiano, implica una visione dell’opera d’arte di tipo “fabbrile”. Insomma, l’artista, il poeta e lo scrittore non è – o per lo meno non è solo – l’eletto, il baciato dalla divinità, colui che viene folgorato, un po’ come Paolo sulla via di Damasco, da Dio e di colpo si mette a creare. Ma è colui che non ha la presunzione di affidarsi all’ingegno solo e studia, si sforza, fatica e lavora per affinarsi, per migliorarsi, come hanno fatto tutti i grandi genî. «Il genio è fatica e lavoro», scriveva Goethe: «Genie ist Wahrheitsliebe, es ist Mühe und Arbeit» (letteralmente «Il genio è amore per la verità, è uno sforzo e un lavoro»).
Insomma, quello che intendo è chiarito da Dante, in un passo fondamentale del De Vulgari Eloquentia, il capitolo iv del libro II: «Et ideo confutetur illorum stultitia, qui, arte scientiaque immunes, de solo ingenio confidentes, ad summa summe canenda prorumpunt; et a tanta presumptuositate desistant, et si anseres natura vel desidia sunt, nolint astripetam aquilam imitari». («E quindi sia confutata la stoltezza di quanti, privi di arte e di dottrina, confidando nel solo ingegno, si slanciano in argomenti sommi da cantare in modo sommo. Desistano dunque da tanta presunzione e, se per natura o pigrizia sono oche, non cerchino di imitare l’aquila che tende alle stelle». DVE, II, iv, 11).
Proprio nel iv capitolo del libro II del De Vulgari Eloquentia Dante parla dell’ergasterio, dell’officina dell’arte. Accingendosi a esaminare a fondo la canzone, la somma forma metrica, Dante dice di voler spalancare per essa l’officina dell’arte: «artis ergasterium reseremus» (DVE, II, iv, 1).

PAROLE E MUSICA

Subito dopo aver dichiarato di voler spalancare l’officina dell’arte, Dante dà la definizione di poesia «que nichil aliud est quam fictio rethorica musicaque poita» (DVE, II, iv, 2), che non è altro che invenzione, ispirazione, espressa poeticamente secondo retorica e musica. Il poeta ha dunque la possibilità di esprimere la sua ispirazione, la sua invenzione –  fictio – attraverso parole e musica. La poesia fonde indissolubilmente in un unicum ispirazione –  fictio –  parole –  il materiale costruibile a disposizione del fabbro, pardon del poeta –  e musica. La musica è un elemento vitale del verso. Ora mi succede sempre più spesso, accostandomi a parte della produzione poetica contemporanea, di non recepire nei versi la componente musicale. Ma, cosa ancor più grave, di non recepire neppure il verso e, di conseguenza, di non recepire poesia ma prosa. La prosa, PRO(R)SA ORATIO, discorso continuo, ha in sé l’idea di continuità, è un discorso che si svolge continuamente in avanti. C’è, insomma, l’idea di uno sviluppo continuo in avanti. Il verso, da VERSUS, VERTERE, voltare, tornare indietro, tornare al punto di partenza, presuppone un procedere zigzagante, sinusoidale, bustrofedico (non solo della scrittura). Solitamente, dico solitamente perché la poesia lirica greca aveva nei papiri l’apparenza di prosa ma il suo verso ben era manifesto, e questo accadeva anche per i codici della poesia medievale, solitamente il verso si segnala con l’andare a capo. Ma non basta andare a capo per fare un verso. Serve un progetto ritmico sillabico ben ancorato in testa e tanto lavoro “fabbrile” nella propria officina poetica.

Filippo Brusa

FB in breve

Filippo Brusa, giornalista professionista, autore e conduttore televisivo, promuove iniziative editoriali legate all’ambito culturale, sportivo ed enogastronomico, applica il giornalismo come strumento per comprendere il mondo e lotta contro ogni censura, contro l’ipocrisia del politicamente corretto, contro il mostro soffocante del luogo comune e contro la sopraffazione del «pensiero unico».

Seguimi

Scarica il pdf del libro

Archivio

Le storie da scrivere insieme

Risali

Non perderti